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La paura della fronda è diventata cosa reale quando Carla Ruocco, venerdì scorso, ha sganciato una bomba. Criticando il decreto fiscale, non nel merito della norma, non per un cavillo da correggere, ma dal punto di vista valoriale: “Il decreto fiscale dovrà essere modificato rispettando i principi ispiratori del Movimento 5 Stelle. Molte delle disposizioni del provvedimento all’esame del Senato sono contrarie ai nostri valori”. Bum. Perché la Ruocco non è una parlamentare qualunque, ma presidente della commissione Finanze della Camera, nonché componente del fu Direttorio che per qualche mese guidò il Movimento 5 stelle.
Lo sconcerto è stato grande nella stanza dei bottoni da dove Luigi Di Maio guida la sua truppa. È partita una girandola di telefonate, e il capo politico ha appurato che non solo nessuno del governo sapeva, ma nemmeno il capogruppo Francesco D’Uva era stato avvertito di quel che covava sotto la cenere. C’è un passo di Guerre Stellari dove a Darth Vader viene detto più o meno così: “Più stringerai il pugno, e più pianeti ti sfuggiranno dalle dita”. Il weekend del vicepremier ha ricordato molto da vicino la metafora. Perché da un lato c’è il decreto fiscale, dall’altro il decreto sicurezza, e la legittima difesa, e il Tav, e il Tap. Una due giorni a rincorrere le dichiarazioni più eterogenee di gruppetti di parlamentari che sconfessavano la linea del leader, e provavano a spezzare le strette di mano con Salvini.
Sul gasdotto che deve approdare in Puglia una delle fronde più dolorose. Tanto che è dovuto intervenire Giuseppe Conte in prima persona, definito da Emilio Carelli “scudo umano” sulla vicenda, termine molto lucido per segnalare da un lato la totale presa di responsabilità politica, dall’altro che evidentemente alcuni errori, se non altro di comunicazione, sono stati fatti.
“Oggi sono quattro o cinque sui singoli provvedimenti. Ma se domani diventano venti che facciamo?”. È la domanda posta da uno degli uomini più vicini a Di Maio. Ma c’è un corollario: “Per ogni voce critica che si alza, noi ci sediamo al tavolo con la Lega che parte già in vantaggio, sapendo che loro sono compatti e che noi i nostri non li teniamo”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’intervista di Riccardo Molinari a la Stampa. Il capogruppo leghista a Montecitorio è stato netto: “Credo che la Tav si debba realizzare. È la mia posizione e quella della Lega. Si tratta di un’opera strategica”.
“Se continuiamo a mostrarci così deboli sentono l’odore del sangue e affondano”, il ragionamento nella war room stellata. Ecco così che Di Maio ha preso carta e penna (digitali) e ha scritto una lettera che ha drammatizzato la situazione: “È bene avere molto chiaro che dalla compattezza della testuggine del Movimento dipende non solo il futuro del governo, ma anche quello del nostro Paese. Chi si sfila si prende questa responsabilità dinanzi ai cittadini e di questo dovrà renderne conto”.
Quando chiedi ai suoi se non si tratta di un passo più lungo della gamba, la risposta è inequivocabile: “Più di così cosa dovrebbero fare?”. Il pensiero è alle voci che si rincorrono senza sosta su Salvini convinto che Di Maio non abbia più il controllo di molte frange del gruppo parlamentare, e convinto di poter approfittare della situazione. Con la prospettiva di medio periodo delle europee, voto nel quale si teme il travaso dal giallo al verde. Un deputato siciliano spiega: “Da noi è un macello, già ci stanno togliendo voti, sarà una battaglia corpo a corpo”.
Voci e prospettive che si concretizzano nel giro di un paio d’ore. Elena Fattori, tra i critici sul decreto sicurezza, risponde a Di Maio dalle colonne di Huffpost. Se avessi raccontato quel che stiamo facendo al governo “mi avrebbero preso per folle o per lo meno mi avrebbero rincorso con torce e forconi”. Apriti cielo. L’articolo rimbalza nelle chat dei parlamentari, arriva fino allo smartphone del capo. I nervi sono a fior di pelle. Gregorio De Falco, il fustigatore di Schettino, esibito come un santino in campagna elettorale, diventa improvvisamente un problema: “Io sono qui perché ho aderito ad un movimento e ai valori di quel movimento mi richiamo. Siamo un movimento e non un esercito” risponde a chi gli chiede se voterà il provvedimento di Salvini in Senato. La collega Paola Nugnes chiede decisioni assembleari (richiamate dallo stesso Di Maio nella sua missiva): “Immaginate come avremmo reagito se questo provvedimento lo avessimo dovuto subire come opposizione”.
La tensione sale. Per la prima volta dopo mesi torna ad aleggiare la parola che aveva monopolizzato i retroscena parlamentari a cinque stelle un lustro fa: espulsioni. La pronuncia la Fattori: “non ho nessuna intenzione di andarmene. Se sarò espulsa per eccesso di coerenza farò ricorso”. A trecento metri da Palazzo Madama, nel cortile della Camera, un fedelissimo fa l’esegesi delle parole del leader: “Ha fatto benissimo a scrivere quel che ha scritto. Così questi idioti lo capiscono una volta per tutte: o stanno dentro al governo del cambiamento, o stanno fuori, di loro non abbiamo bisogno”. Il vento che spazza Roma e abbatte gli alberi ha riportato improvvisamente il clima al 2013. Con una differenza non da poco: allora il M5s era all’opposizione. Oggi qualche dissidente in più o in meno, soprattutto a Palazzo Madama, ha il potere di decretare la fine politica di Di Maio e dell’esecutivo per cui tanto si è speso.
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Di Redazione

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