Promuovere un uso più ampio dell’euro negli accordi e nelle transazioni internazionali nel settore energetico. È questa la raccomandazione della Commissione europea agli Stati e alle imprese. L’esecutivo Ue ha indicato che avvierà consultazioni con le parti interessate sul mercato potenziale per denominare in euro le transazioni in petrolio, prodotti raffinati e gas.

Sulle materie prime, come metalli e minerali, e materie prime agroalimentari, consulterà gli attori di mercato per identificare il modo in cui incrementare il commercio denominato in euro. Infine lancerà una consultazione per definire possibili azioni per promuoverne l’uso dell’euro nel settore manifatturiero e dei trasporti. L’iniziativa comunitaria è volta a rafforzare l’euro come moneta centrale nel sistema valutario internazionale a tutela degli interessi commerciali europei. E per cautelarsi nei confronti della svolta protezionista americana: «Il dominio storico del commercio energetico in dollari implica che le recenti iniziative unilaterali da parte di giurisdizioni non Ue, insieme con il calo al sostegno della governance internazionale fondata su regole comuni e il commercio, possono impedire o rendere più difficile il commercio in tale settore», dice la Commissione. In questo senso si può parlare di una vera e propria svolta politica da parte della Ue che non mancherà, se praticata davvero, di suscitare aspre reazioni a Washington.
EUROGRUPPO: INTESA PER LA RIFORMA DELL’EUROZONA
«La Ue è l’importatore più grande di energia con una ‘fattura’ media di 300 miliardi di euro l’anno e con un mercato interno aperto e concorrenziale: rafforzare il ruolo internazionale dell’euro in questo settore ridurrà i rischi di rottura delle fornitura e promuoverà l’autonomia del business europeo», indicato il commissario a clima ed energia Arias Canete. E Pierre Moscovici, commissario agli affari economici: «Un uso più ampio dell’euro proteggerà cittadini e imprese dagli shock esterni».
Spiega la Commissione che «la decisione di usare una valuta nel commercio è fatta in ultima istanza dai soggetti di mercato e l’obiettivo non è interferire nella libertà di commercio o limitare le scelte, tuttavia un rafforzamento del ruolo dell’euro aiuterebbe a migliorare la solidità del sistema finanziario internazionale rendendo l’economia meno vulnerabile agli shock». In sostanza, l’indicazione agli Stati membri della Ue è «promuovere l’uso dell’euro nei settori strategici perché nonostante la loro posizione come grandi acquirenti e maggiori produttori, le imprese europee commerciano in dollari americani anche nelle transazioni tra loro e questo espone il business a rischi valutari e politici, comprese le decisioni unilaterali che possono avere un effetto negativo sulle transazioni denominate in dollari».
Scudo contro il protezionismo
L’idea è di superare una situazione nella quale il valore del dollaro non è un problema per gli Stati Uniti ma può essere (ed è) un problema per tutti gli altri, europei compresi. Soprattutto con i radicali cambiamenti della politica americana sotto Trump, per la Ue, questo il ragionamento comunitario, è l’ora di tutelarsi anche dal punto di vista dell’uso della moneta nelle transazioni internazionali «riducendo l’esposizione ad azioni legali prese dalle giurisdizioni non Ue». Attualmente l’euro è la seconda valuta più usata dopo il dollaro con 60 Paesi che hanno variamente agganciato la loro valuta alla moneta unica europea. La quota in euro di riserve internazionali detenute dalle banche centrali non Ue e di emissione di debito nei mercati internazionali è significativa. Circa il 36% del valore delle transazioni internazionali nel 2017 era denominato o regolato in euro e l’euro rappresenta circa il 20% delle riserve delle banche centrali internazionali (è un valore superiore alla quota Eurozona nel prodotto mondiale annuale).
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Di Redazione

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