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NEW YORK – Una statuetta di divinità femminile nuda di alabastro con le braccia mobili, quasi una Barbie vecchia di duemila anni, fa gli onori di casa: ha il corpo sinuoso di una Venere nella tradizione classica occidentale, ma i suoi occhi e l’ombelico di rubino vengono dal lontano Myanmar. Oggi al Museo del Louvre, la Ishtar simbolo di una nuova mostra al Metropolitan viene originariamente da Babilonia: è la testimonial plurimillenaria del “Mondo tra gli Imperi”, un viaggio in 190 oggetti in una delle regioni più incandescenti del pianeta. Dal primo secolo avanti Cristo alla metà del terzo secolo due superpotenze – l’impero romano con la sua base nel Mediterraneo e i Parti che controllavano Iran e Asia centrale – si scontrarono in un’alternanza di guerre e fragili fasi di pace per il controllo delle vie commerciali tra oriente e occidente. La mostra incrocia passato e presente puntando i riflettori su cosa stava in mezzo: luoghi distinti da Iran e Roma i cui abitanti avevano molto in comune gli uni con gli altri. In quelli che oggi sono Iraq, Israele, Giordania, Siria, Libano e Yemen, si parlavano lingue simili, si commerciava lungo le stesse strade, si adoravano divinità consorelle. Negli ultimi anni tre dei paesi moderni della regione – Iraq, Siria e Yemen – hanno subito gravissimi danni ai loro siti archeologici e ai musei. La mostra discute anche questi eventi e come reagire, dando, a metà del percorso espositivo, la parola a tre archeologi che hanno lavorato a lungo nella zona: una di queste, Zainab Bahrani, irachena della Colombia University, spiega che si tratta di “pulizia etnica” e in molti casi di “una forma di genocidio”. Il viaggio al Met parte dall’odierno Yemen per passare poi al regno di Nabatea alleato dei romani con la sua capitale, Petra, scavata nella roccia. La rotta prosegue per i territori ribelli della Giudea (Israele e Palestina), il santuario di Heliopolis Baalbek oggi in Libano, per approdare ai confini dell’impero dei Parti, a Palmira, Dura Europos, Babilonia e Hatra. Ad ogni tappa le influenze imperiali sono come una vernice che non riesce a nascondere forti tradizioni locali. Chiude la mostra un cammeo del terzo secolo che racconta l’inizio di una nuova era. Due decenni dopo che il primo imperatore sassanise Ardashir sgominò i Parti, suo figlio Shapur trionfò sui romani catturando l’imperatore Valeriano. La storia è incisa nel cammeo, una pietra di inconsueta bellezza e tradizionalmente una forma artistica occidentale, diventando al tempo stesso ornamento e strumento di propaganda. Fonte: Ansa

Di Redazione

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