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Nessuno di noi che molte volte ha apprezzato il Maurizio Crozza dei tempi andati, quando era capace di fare umorismo con una verve impareggiabile, poteva immaginare che si sarebbe incamminato e consumato nella pietosa deriva di comico un tanto al chilo.
Ognuno di noi che attendevamo impazienti lo spettacolo che stava per incominciare già pregustando il gustoso divertimento delle battute intelligenti, sagaci, saporose, assiste sgomento, triste, schifato alle sue ultime performance.
Esse sanno ormai di stantio, di disco rotto. Ripete sempre le stesse cose, i target sono sempre gli stessi. Una noia, una tristezza mortale.
È come che la vena creativa si sia prosciugata.
La scintilla dell’inventiva non viene fuori. Forse le pietre focaie che prima la facevano scattare si sono troppo inumidite stando negli scantinati umidi dei poteri marci.
I poteri marci infatti lo applaudono, ma la gente libera ormai lo schifa.
Infatti non è più il Crozza che conoscevamo.
Ha accettato di fare una parte, con canovaccio obbligatorio da cui non si può discostare, e per fare quella parte è profumatamente pagato, ma il suo spirito artistico, accettando la libertà vigilata di chi lo paga, si è spento.
Si è spento per asfissia.
La mancanza del respiro della libertà nell’improvvisare – l’essenza per un artista! – ha tolto l’ossigeno allo spirito vivo di Crozza e lentamente ma inesorabilmente si è ritirato da lui fino a non dare più segni di vita.
L’articolo La discesa all’inferno e la fine ingloriosa di Crozza: da comico pungente e sagace, a clown blasonato del regime e infine a ciarlatano scodinzolante dei poteri marci

Di Redazione

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