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Dopo il fallimento di Bruxelles sul caso Diciotti, Salvini e Di Maio mostrano i muscoli. Il vicepremier leghista fa capire qual è il suo orizzonte: martedì incontra Viktor Orban.

Mentre il pattugliatore Ubaldo Diciotti è inchiodato dalle sue ancore nel porto di Catania, la nave Italia spiega le sue vele e fa rotta verso il nord dell’Europa sovranista. Dopo giorni di stallo sui 148 migranti impossibilitati dal governo a toccare il suolo italiano e l’ennesima giornata dove le speranze dell’alba si disperdevano con l’incedere del sole, la mossa di Matteo Salvini è lampante.
Martedì nella sua Milano incontrerà Viktor Orban. E squadernerà con lui sul tavolo del vertice i temi dell’immigrazione. Una prova di forza. A livello internazionale, anzitutto. L’obiettivo è quello di rinsaldare il fronte di Visegrad, che unisce Austria, Ungheria, Paesi baltici e la sponda leghista d’Italia. “Il no al ricollocamento da parte della presidenza di turno austriaca è stato mal compreso”, spiega un colonnello leghista. “Matteo sta dimostrando di seguire la loro stessa linea, quella che mira agli sbarchi zero”. Ma anche sul fronte interno. Perché Salvini si muove come un vero e proprio capo di stato. Scavalcando di fatto Giuseppe Conte e incontrando da pari a pari il premier magiaro. E tirandosi dietro l’intero governo.
Luigi Di Maio oggi è tornato a battere sul versante economico della questione. Il capo politico del Movimento 5 stelle guarda in ottica legge di stabilità. Un cedimento sull’immigrazione porrebbe l’Italia in una situazione di debolezza in vista dei negoziati per strappare maggiore flessibilità. Ribadendo la minaccia di tagliare i 20 miliardi di contributo italiano all’Unione. E ricevendo di fatto uno stop dal collega in Consiglio dei Enzo Moavero: “Pagare i contributi è un dovere legale”. Schermaglie. Perché quella del leader 5 stelle è una posizione strumentale, funzionale ad alzare la posta in gioco. Come si è visto dalla reazione di Bruxelles e di Vienna, che hanno risposto a brutto muso, rifiutando una trattativa impostata “sulle minacce”.
Una posizione che si è saldata al sostanziale fallimento dell’incontro tra funzionari convocato mercoledì scorso per trovare un punto di caduta sulle operazioni di salvataggio e recupero nel Mediterraneo. Un disastro al punto che non è stata prodotta nemmeno una bozza d’intesa. “Nessuno stato membro ha ritenuto di sottoscrivere un comunicato, mancano le basi per un accordo”, sottolineano fonti del ministero dell’Interno. Che tiene ferma la linea dura: dalla Diciotti non scende nessuno.
Il saldarsi delle posizioni di Salvini e Di Maio ha costretto Conte a prendere atto dei ridotti spazi di manovra. Il presidente del Consiglio, pur condividendo la sostanza politica, avrebbe trattato diversamente la situazione, anche nella consapevolezza della forte preoccupazione del Quirinale. Ma il tandem che da quarantott’ore hanno inforcato i suoi due vicepremier lo ha costretto ad accodarsi.
“Trarremo le conseguenze” dell’insensibilità europea “perseguendo un quadro coerente e determinato per tutte le azioni” future, la nuova minaccia tutt’altro che velata dell’avvocato del popolo italiano. Il governo si muove dunque compatto. Lo stesso ministro degli Esteri, dissonante sul versante dei soldi, ha suonato lo stesso spartito su quello immigrazione: “In Ue molte parole e niente fatti, servirebbe una volontà comune, è triste non trovare un accordo”. Le feluche continuano nel loro lavorio one-to-one con le singole cancellerie, ma per ora il fallimento diplomatico (di tutto il governo, non solo della Farnesina) è stato completo.
E ha dato il là a Salvini per strattonare l’esecutivo in direzione orbaniana. L’ennesima sera sul molo di Catania si conclude così. Con le accuse di ipocrisia ai partner comunitari che partono da Palazzo Chigi e con i due vicepremier che insistono sul blocco allo sbarco e sul taglio dei fondi italiani. A bordo della Diciotti quel che viene tagliata è la fornitura dei pasti. Da stanotte oltre cento fra gli occupanti è in sciopero della fame. Quanto potrà durare?
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Di Redazione

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